mercoledì 30 maggio 2012

√ TERREMOTO: QUANDO CROLLA LA CASA

Photo: trackback.it 
Quando crolla la casa, cessa di esistere il nostro mondo. Il terremoto ci fa comprendere, se ce ne fosse bisogno, il valore fondamentale della dimora, dell'abitare radicandosi in un contesto ambientale. La casa definisce il rapporto tra l'uomo e il mondo, e tra l'uomo e gli altri uomini che dimorano intorno a lui. Senza la casa, senza la città fatta di case, l'uomo perde la sua identità e vaga in cerca di un nuovo radicamento, di una nuova testata d'angolo da posare e sulla quale costruire.


L'immagine delle case diroccate, con il tetto scoperchiato e i muri sbriciolati, si sovrappone a quella dei capannoni collassati (la casa del lavoro), dei castelli smozzicati (la casa del potere), delle chiese devastate (la casa del Signore). Se ci pensiamo bene, senza la casa non siamo nulla. Senza la casa, o vivendo in container e roulottes, subiamo uno shock identitario violento e l'espulsione anche crudele dal mondo, fatto di case strade e capannoni e palazzi pubblici e chiese. Quelli che vivono nei trailer parks, i parchi di roulottes, in America vengono bollati dalle classi superiori con l'epiteto razzista di trash, spazzatura, anzi white trash e quindi non importa il colore della pelle, agli occhi del razzista Wasp se vivi in un camper sei peggio dei neri. Da noi nella vecchia Europa non si coniano epiteti così brutali, ma se non hai casa sei comunque fuori, sei un barbone senza identità sociale, una cosa buttata su un cartone sotto un mucchio di stracci, senza diritti e senza doveri.

Il crollo è in sé un evento spaventoso e traumatico, e non mi riferisco al rischio della vita ma al significato profondo. La casa che crolla perde la sua forma sostanziale e la sua identità ontologica, la materia assume la nuova "non-forma" delle macerie e la casa in quanto tale cessa istantaneamente di esistere; anzi basta una lesione profonda, una crepa larga, un tetto sfondato a far perdere l'abitabilità e quindi il suo essere-casa, dato che una casa inabitabile è una contraddizione in termini, come il circolo quadrato.

Il terremoto cambia in un istante le carte in tavola, anzi rovescia il tavolo da gioco. Gli orologi si fermano, il tempo dell'uomo viene meno e la realtà si deumanizza, tornando preda delle cose, come i calcinacci, le tegole sbriciolate a terra, le lamiere sfondate e senza senso.
Di qui il dolore degli abitanti dell'Aquila, che vedono la loro non-città dietro le transenne, spiano la loro vecchia casa (ora non più abitabile quindi non-casa) attraverso le reti rosse di cantiere; per questo la sofferenza è lancinante e la nostalgia del radicamento e dell'identità potentissima e assordante.

Chi non ha visto crollare la casa ma l'ha solo sentita tremare e ondulare, come è successo nel nord Italia, ha subìto comunque lo shock della perdita di fiducia nella sua dimora, che improvvisamente si è trasformata da rifugio familiare in una trappola potenziale. In questo il sisma ondulatorio è più pesante di quello sussultorio, in quanto fa perdere la correlazione spaziale ascissa/ordinata e con essa ogni punto di riferimento. E anche qui, senza il rapporto fiduciario con la sua dimora, l'uomo ritorna ad essere un bambino smarrito in balia di forze superiori e oscure: non a caso la paura generata dal terremoto è il terror panico, scritto nei livelli più ancestrali del nostro dna.

Senza la casa l'uomo sopravvive, certo, ma è un po' meno uomo, e resta alla ricerca di un altrove. Ricordiamocene quando parliamo con i nostri fratelli abruzzesi o emiliani e non banalizziamo mai la casa e il suo significato profondo. Ricordiamocene anche quando trattiamo del "tema casa", e cerchiamo di portare rispetto a questa parte così importante dell'identità e dell'esperienza umana.

Giuliano Olivati







Nessun commento:

Posta un commento